Apr172024NEWSPensare controcorrente “Conosci te stesso” è la celebre massima apollinea che esorta a sperimentare la propria natura più intima. Realizzarsi, quindi, per i nostri avi significava cercare nel profondo di sé la verità, che è il luogo dove il corpo e l’anima si incontrano. Il tempo trascorso dalla nascita di questo monito non ci è stato lieve, però, perché molti insegnamenti sono andati perduti e la società occidentale sembra aver smarrito profondità e leggerezza. Il passato, infatti, non sembra esistere più e ci ritroviamo a vivere in un presente senza più confini, nel quale l’idea di futuro non passa più attraverso la costruzione di un senso, attraverso i piccoli passi che giorno dopo giorno ci avvicinano agli obiettivi che ci siamo posti. A causa di questo scollamento anche l’individuazione e il riconoscimento del merito creano evidenti difficoltà: il merito, infatti, non può riguardare solo il risultato, ma dovrebbe attenere anche al concetto di emancipazione individuale al fine di raggiungere la versione più matura di se stessi da mettere a disposizione della collettività e di una convivenza più equa. Per poter compiere un passo verso tale sviluppo bisogna innanzitutto ricominciare a prestare attenzione al significato delle parole: se interpretiamo il merito come mera premialità, perdiamo il senso della continuità del processo evolutivo. Sarebbe invece più proficuo vivere tale concetto non al participio passato, e domandarsi sempre: mi sto meritando il ruolo che ricopro? Questa domanda permette di interrogarsi su quali prerogative e caratteristiche dovrebbe avere una leadership. Un vero leader dovrebbe mettersi costantemente in discussione perché consapevole che il futuro inizia dal presente e dovrebbe tenere conto che la fiducia e l’autorevolezza vengono riconosciute solo quando si è in grado di intercettare le esigenze e le istanze della società civile o della propria azienda e del mercato. Eppure meritarsi il presente è un concetto estraneo al nostro modo di percepirci e orientarci. Il modello che la nostra società offre, infatti, è adeguato da un punto di vista di formazione professionale, sia universitaria che specialistica, ma presenta delle lacune che mettono in evidenza un grande vuoto: l’assoluta mancanza di attenzione e approfondimento della coscienza o consapevolezza di sé. Vengono così trascurati gli strumenti che sono alla base di ogni tipo di relazione umana, professionale e di convivenza civile. Ma un sistema che voglia promuovere una leadership deve dare priorità a tutti gli aspetti della persona. Va da sé che fare impresa significa creare un prodotto per trarne profitto, ma questo assoluto a volte va a discapito delle responsabilità d’impresa, ovvero la gestione delle problematiche di impatto sociale ed etico. Tra esse ricopre un ruolo di rilevante importanza la responsabilità di innovare, intesa come impegno a creare qualcosa in grado di migliorare una situazione preesistente. La nostra azienda, ad esempio, da generazioni, ha come obiettivo non solo fornire prodotti sempre più efficienti dal punto di vista della sostenibilità energetica ma anche dal punto di vista della qualità del lavoro dei nostri stakeholder, supportando con le nostre tecnologie un bilanciamento più equilibrato tra vita e lavoro. Per fare ciò, ritengo che sia necessaria non solo umiltà, ma anche capacità di ascolto profondo: umiltà nel senso di restare sempre in contatto con se stessi per poter riconoscere i propri limiti e innescare così un processo di sviluppo e miglioramento, e capacità di ascolto nel senso di restare sempre aperti per poter cogliere esigenze e opportunità. Nella nostra visione d’impresa, inoltre, condividere le nuove tecnologie è un atto fondamentale, perché crediamo che la diffusione di un nuovo linguaggio o di un nuovo strumento aiuti a migliorare la società tutta. Un’azienda che crede nei propri valori e nella propria mission non deve lasciarsi spaventare dalla condivisione. La leadership di chi per primo immette sul mercato un prodotto all’avanguardia permarrà, infatti, anche nel caso in cui metta a disposizione il proprio know-how, perché l’azienda verrà sempre riconosciuta come la prima ad aver sperimentato quel prodotto o quel linguaggio specifico. Il principio di diffondere il più possibile il proprio sapere permette che tutti siano nella condizione di beneficiare dello sviluppo tecnologico e delle nuove scoperte quale bene intrinseco e di contrastare così la cultura di matrice tendenzialmente protezionistica ancora presente in Italia. La visione più aperta di imprenditore è difendere sì i propri margini di guadagno, tenendo in considerazione la salute dell’azienda e dei suoi dipendenti, e al tempo stesso diffondere una consuetudine al linguaggio dell’innovazione. Un contributo al cambiamento è superare le proprie paure e non proteggere il proprio patrimonio intellettuale. Dobbiamo sforzarci di stimolare un cambiamento di paradigma e tentare di diffondere la cultura dello scambio. Se si cambiasse, infatti, il modello formativo, integrando anche lo studio e l’indagine del sé, si riuscirebbero a trovare soluzioni in tempi più rapidi e in modi più efficaci. E questo varrebbe anche per l’organizzazione e amministrazione di uno stato, di cui le aziende sono dei modelli. L’inaridimento della classe dirigente, sia politica che imprenditoriale, è dovuta non solo alla mancanza di una visione e all’estraneità ai concetti di coscienza e di consapevolezza di sé ma anche al diverso significato che viene attribuito alla dignità del ruolo che si ricopre. Ricordo sempre Aldo Moro in spiaggia vestito di tutto punto: è un’immagine che, sebbene anacronistica, racconta ancora della serietà e del rispetto che veniva riconosciuto al ruolo delle istituzioni. I nostri attuali dirigenti, invece, recitano a soggetto (improvvisano), non si sentono responsabili della collettività e hanno la tendenza a gestire solo ciò che può essere utile alla logica del consenso. Eppure gli eletti non dovrebbero approfittare della loro posizione privilegiata ma essere d’esempio, in quanto a una maggior responsabilità corrisponde il dovere di mettersi al servizio degli altri. Anche tra gli imprenditori, ce ne sono alcuni che vengono definiti dal marketing promozionale “illuminati”, in realtà non stanno creando le basi per una leadership: stanno semplicemente proteggendo se stessi e prestando il fianco al sistema generale e ai suoi funzionamenti intrinseci. Ecco che il vero dilemma della nostra società è capire innanzitutto come costruire il merito: non basta l’esempio, ma si deve anche instillare uno spirito critico, che non significa fare polemica su tutto ma mettere in discussione ogni cosa, come nel metodo della falsificabilità di Popper. Avere spirito critico vuol dire puntare sia sull’intelligenza, ovvero la capacità di leggere tra le righe, che sulla coscienza, ovvero l’attitudine all’ascolto di sé e degli altri. Il nostro sistema sociale, invece, non fa altro che illuderci su tale argomento, perché il libero arbitrio oggi trova il suo modo di esprimersi solo nella possibilità di personalizzare un bene o un prodotto, seguendo però degli schemi già prestabiliti. Come ha scritto il filosofo Mark Fisher, nel suo saggio “Realismo capitalista”: il capitalismo ha colonizzato i sogni delle persone. […] Quello con cui abbiamo a che fare oggi è la precorporazione: la programmazione e la modellazione preventiva, da parte della cultura capitalista, dei desideri, delle aspirazione e delle speranze”. In altre parole siamo la carne di cui si nutre il sistema. Si dovrebbe, al contrario, aiutare le persone a cercare davvero la propria unicità e non adattarsi a prodotti preconfezionati. A questo possiamo aggiungere anche un’altra considerazione: sempre più diffusa è la tendenza a sentirsi persi senza l’aiuto degli strumenti tecnologici, come device e applicazioni; bisognerebbe, invece, tornare a indagare la capacità di trovare soluzioni pratiche, l’arte di arrangiarsi, in modo da poter sperimentare la propria soluzione e non adattarsi a quelle definite e proposte da altri. In un articolo apparso sul “Die Zeit”, un settimanale tedesco dedicato all’analisi politica e sociologica, la psicologa cognitivo-comportamentale Eva-Lotta Brakemeier ha spiegato che dopo anni di studi e analisi è oramai evidente che non esiste davvero un paziente medio in ambito medico e scientifico, e che ognuno reagisce a stimoli e cure in un modo del tutto soggettivo. Ecco perché le nuove frontiere della ricerca stanno facendo “una cosa finora impensabile: mettere insieme il meglio di metodi diversi, assemblando una specie di cassetta degli attrezzi per la cura dello spirito, che infonde nuove speranze a pazienti e tarapeuti”. Ciò ci permette di affermare che se non fossimo così abituati a dare per scontato che il nostro modello sia il migliore, saremmo in grado di allargare il nostro sguardo per orientarlo verso altre culture, dalle quali potremmo apprendere o recuperare valori e metodi di funzionamento. Così come dovremmo augurarci che la minoranza creativa imprenditoriale si dissoci prima o poi dai modelli associativi e corporativi, e che inizi a pensare e sperimentare autonomamente, tentando di far saltare il sistema lobbistico che guida sempre più imprese e stati. A ben guardare, infatti, oggi siamo abbastanza carenti da un punto di vista decisionale. Le disposizioni che ci vengono date dal nostro apparato istituzionale non sono sufficientemente adeguate al contesto, essendo noi carenti a livello di politica internazionale e considerando che le decisioni non vengono più prese in ambito politico e geografico, ma in ambito economico. Ecco perché dovremmo puntare sulla creazione di un movimento che parta dal basso e che accomuni persone che condividono gli stessi valori e l’intenzione di non cedere mai alle lusinghe del sistema. In Italia, ad esempio, abbiamo il vantaggio di possedere una grande creatività e questo potrebbe risultare utile nella ricerca di schemi meno rigidi e di soluzioni alternative per creare così una comunità di intenti virtuosa. Per scongiurare, quindi, il rischio di non riuscire a creare un nuovo sistema ed essere facilmente ricattabili, abbiamo il dovere di ricalibrare il focus. Per liberarci del conformismo esasperato dobbiamo scoprire cosa vogliamo veramente e non continuare a trovare nuove forme di adattamento a dei modelli che non ci rappresentano e che non tengono conto delle nostre esigenze individuali. Dobbiamo allenarci giorno dopo giorno a essere aperti e critici per poter ricominciare a dire no, per mettere in discussione ciò che ci circonda in un’ottica di miglioramento, di sviluppo reale, di superamento dei nostri limiti. Bisogna reagire alle diverse forme di inquinamento intellettuale, che ci relegano nel disagio costante di essere pilotati e condizionati; bisogna ritrovare il coraggio di non lasciarsi più trasportare dalla corrente. Se l’innovazione non sarebbe stata possibile senza imprenditori ostinati, allora pensare controcorrente potrebbe essere una via di fuga dal processo inesorabile innescato dalla nostra cultura e uno stimolo a immaginare un futuro più a misura di essere umano. 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